Trattamenti termici dei rifiuti: le alternative agli inceneritori

Esistono alcune alternative ai classici inceneritori, attualmente però poco diffuse in Europa.

Gassificatori e pirolizzatori

Un’alternativa a tutti gli impianti di incenerimento per combustione sono i gassificatori (da non confondersi con i rigassificatori) e gli impianti di pirolisi. In tali impianti i rifiuti vengono decomposti termochimicamente mediante l’insufflazione di una corrente di azoto (nei gassificatori anche ossigeno) ad elevate temperature, ottenendo come prodotti finali un gas combustibile (detto syngas) e scorie solide. In pratica, mentre negli inceneritori il materiale viene riscaldato in presenza di ossigeno e avviene una combustione che genera calore e produce composti gassosi ossidati, negli impianti di pirolisi lo stesso riscaldamento viene effettuato in assenza totale di ossigeno e il materiale subisce la scissione dei legami chimici originari con formazione di molecole più semplici. La gassificazione, che avviene in presenza di una certa quantità di ossigeno, può essere considerata come una tecnologia intermedia tra l’incenerimento e la pirolisi propriamente detta.

La pirolisi consiste nella trasformazione dei rifiuti tramite la trasformazione in C.S.S. (Combustibile Solido Secondario) e gassificazione del C.S.S. per la produzione di Energia elettrica e Energia termica.

La pirolisi è un processo di decomposizione termochimica in assenza di ossigeno e senza fiamma che per effetto del calore determina il cracking termico delle molecole ovvero la rottura dei legami chimici e la trasformazione della materia in componenti più semplici.

In  assenza di ossigeno le grandi molecole si rompono successivamente in molecole più piccole, fino ad arrivare alle molecole più elementari come quelle degli elementi primari (C, H, O, N) o gas leggeri (CH4, CO, CO2, H20).

  • Questa tecnologia non produce gli effetti della distruzione tramite inceneritori;
  • Questa tecnologia è la più avanzata in termini ecologici;
  • Questa tecnologia consente ulteriori vantaggi:
  1. Termo-trasformazione e non distruzione;
  2. Produzione di energia elettrica;
  3. Produzione di energia elettrica;
  4. Produzione di sottoprodotto derivato dello scarto di lavorazione.

Esistono numerosi processi basati su pirolisi e gassificazione, più o meno diffusi e collaudati, che differiscono fra loro per tipo di rifiuto trattato, per emissione e per prodotti di risulta (liquidi, gassosi, solidi). In generale la maggior parte di essi è caratterizzata dal fatto che il materiale da trattare deve essere finemente sminuzzato per essere investito in maniera uniforme dalla corrente di azoto (pirolizzatori) o azoto e ossigeno (gassificatori). Le temperature operative sono in genere fra 400 e 800° C nel caso della pirolisi mentre per la gassificazione sono nettamente più elevate. Le emissioni delle due tecnologie sono sensibilmente differenti rispetto a quelle relative ad un inceneritore, e variabili in relazione agli specifici impianti e processi utilizzati nonché al tipo di materiale trattato.

Ossicombustione pressurizzata

Nel corso di circa 15 anni un’azienda italiana, ITEA del gruppo Ansaldo caldaie, ha messo a punto un sistema rivoluzionario per il trattamento di un ampio spettro di materiali. Conosciuta internazionalmente come “FPO – Flameless Pressurized Oxycombustion” questa tecnologia, che è stata sviluppata su un impianto pilota dedicato di grandi dimensioni, si differenzia completamente dai tradizionali sistemi di combustione e/o gassificazione e consente un’ossicombustione a 1300-1400° C con la produzione di fumi costituiti essenzialmente da CO2 ed acqua e di inerti vetrosi riutilizzabili.

La tecnologia è applicabile a settori industriali molto diversi fra loro; quello più importante a livello internazionale, soprattutto negli USA, è l’applicazione che prevede la produzione di energia da fonti fossili (gas, carbone, residui petroliferi, etc.) con la produzione di fumi costituiti essenzialmente da anidride carbonica, a specifica per lo stoccaggio in giacimenti esauriti e/o in acquiferi profondi; questa applicazione (CCS) è considerata come una delle prospettive più praticabili per la lotta al riscaldamento planetario ed è ben supportata dal Ministero dell’Energia statunitense.

In Italia l’applicazione che sta trovando più considerazione è quella del trattamento di frazioni di rifiuti solidi urbani; in effetti le emissioni all’atmosfera sono ampliamente nei limiti di legge (diossine e furani, al di sotto della rivelabilità strumentale) e per alcuni inquinanti da 1000 a 10.000 volte inferiori rispetto ad un termovalorizzatore tradizionale.

Nel corso del 2018 è stato autorizzato (VIA ed AIA) un impianto per il trattamento di 100.000 ton/anno di frazioni di RSU, che prevede, tra l’altro l’utilizzo dei fumi per la produzione di anidride carbonica liquida per usi industriali, eliminando la necessità di un camino tradizionale; per questo impianto sono in corso le attività propedeutiche alla costruzione.

Gli impianti mobili per lo smaltimento dei rifiuti mediante l’azione del plasma

Questo tipo di tecnologia è stata sviluppata, in seguito alle ricerche effettuate presso la NASA, per rispondere alle esigenze di sviluppo di materiali in grado di resistere alle altissime temperature generate dall’attrito dell’aria, durante il rientro di capsule spaziali nell’atmosfera terrestre.

Il plasma generato dalle torce è costituito da gas ionizzato ad altissima temperatura (da 7.000 a 13.000° C, a seconda del tipo di torcia utilizzato) ed ha la caratteristica di apportare una grande densità di energia, con massa molto ridotta, costituita dal flusso di gas (aria nel caso di applicazione sui rifiuti) che veicola l’energia dell’arco elettrico all’esterno della torcia. Sottoponendo elementi organici ed inorganici all’azione della torcia, date le elevate temperature e l’elevato trasferimento di energia, le molecole organiche si decompongono, mentre i materiali inorganici vengono fusi. Immettendo vapore si genera un gas di sintesi la cui composizione risulta essere molto simile a quella prodotta nei gasogeni a carbone (il cosiddetto “gas d’acqua”), il cui utilizzo come gas da cucina era molto diffuso prima dell’avvento del metano.

L’applicazione della Torcia al Plasma sui rifiuti permette di generare una “zona” di reazione ove la temperatura è compresa tra i 3.000 e i 4.000° C. In tale zona i rifiuti organici si decompongono: il carbonio è libero di reagire con l’ossigeno, immesso direttamente nella zona di reazione, formando un gas di sintesi essenzialmente composto da ossido di carbonio (CO) ed idrogeno molecolare (H2).

Nei processi chimici legati alle varie fasi, non si hanno emissioni di gas tossici, quali diossine, furani e composti organici volatili semilavorati, non si ha produzione di scorie e ceneri di fondo contenenti materiali incombusti e metalli pesanti e non vengono prodotte ceneri volanti contenenti metalli pesanti (cadmio, mercurio, piombo, ecc.).

Gli impianti mobili per lo smaltimento dei rifiuti mediante l’azione del plasma servono per effettuare una trasformazione – efficace dal punto di vista ecologico ed energetico – dei rifiuti contenenti il carbonio. La conversione avviene in un ambiente privo di ossigeno libero a seguito dell’azione del getto di plasma ad altissima temperatura (5000° C), che garantisce la decomposizione di tutti i componenti dei rifiuti fino ad ottenere il gas di sintesi, ossia una miscela del monossido di carbonio (CO) e di idrogeno (H2).

I principali vantaggi dell’impianto per lo smaltimento dei rifiuti mediante l’azione del plasma sono i seguenti:

  1. la sua mobilità e struttura modulare;
  2. la semplicità e la sicurezza durante il monitoraggio e l’esercizio dell’impianto, l’assenza del contatto diretto degli addetti ai lavori sull’impianto con i rifiuti pericolosi:
  3. l’assenza dei criteri rigidi relativi alla cernita preliminare, asciugatura e preparazione dei rifiuti;
  4. l’assenza di azoto come gas di “zavorra” (ossia un componente inopportuno) nonché dei suoi ossidi (NOx) tra cui il diossido di azoto (NO2);
  5. la semplicità e automazione del sistema di gestione dell’impianto e di tutto il processo di smaltimento dei rifiuti;
  6. la facoltà di esercizio all’aperto e in ampio intervallo termico (tra -60° e + 50°) nonché in presenza di un alto tasso di umidità (i valori dei vari parametri nell’ambiente di esercizio si stabiliscono nel capitolato tecnico relativo alla progettazione dell’impianto per la gassificazione e lo smaltimento dei rifiuti mediante l’azione del plasma);
  7. una totale ecocompatibilità del processo di smaltimento dei rifiuti caratterizzato da una completa decomposizione del materiale sottoposto al trattamento (99,99%). L’assenza di resine, diossine e furani;
  8. la produzione di gas di sintesi puro (CO + H2) da parte dell’impianto per lo smaltimento dei rifiuti;
  9. l’impianto può essere utilizzato direttamente nel luogo di raccolta e stoccaggio dei rifiuti;
  10. i valori limite di emissione consentita sono conformi alla normativa italiana nonché a quelle dell’UE.

Soluzioni di filtraggio delle emissioni al camino

I sistemi di depurazione dei fumi attuali sono costituiti da varie tecnologie e sono pertanto detti multistadio. Questi sistemi si suddividono in base al loro funzionamento in semisecco, secco, umido e misto. La caratteristica che li accomuna è quella di essere concepiti a più sezioni di abbattimento, ognuna in linea di massima specifica per determinati tipi di inquinanti. In base alla natura chimica della sostanza da “abbattere” vengono fatte avvenire delle reazioni chimiche con opportuni reagenti allo scopo di produrre nuovi composti non nocivi, relativamente inerti e facilmente separabili.

A partire dagli anni Ottanta si è affermata l’esigenza di rimuovere i macroinquinanti presenti nei fumi della combustione (ad esempio ossido di carbonio, ossidi di azoto e gas acidi come l’anidride solforosa) e di perseguire un più efficace abbattimento delle polveri in relazione alla loro granulometria. Si è passati dall’utilizzo di sistemi, quali cicloni e multicicloni, con efficienze massime di captazione delle polveri rispettivamente del 70% e dell’85%, ai precipitatori elettrostatici (ESP) o filtri a maniche che garantiscono efficienze notevolmente superiori (fino al 99% e oltre). Attualmente le norme vigenti fanno riferimento alle emissioni di polveri totali.

Accanto a ciò, sono state sviluppate misure di contenimento preventivo delle emissioni, ottimizzando le caratteristiche costruttive dei forni e migliorando l’efficienza del processo di combustione. Questo risultato si è ottenuto attraverso l’utilizzo di temperature più alte (con l’immissione di discrete quantità di metano), di maggiori tempi di permanenza dei rifiuti in regime di alte turbolenze e grazie all’immissione di aria secondaria per garantire l’ossidazione completa dei prodotti della combustione.

Tuttavia l’aumento delle temperature, se da un lato riduce la produzione di certi inquinanti (per es. diossine), dall’altra aumenta la produzione di ossidi di azoto e soprattutto di particolato il quale quanto più è fine, tanto più difficile è da intercettare anche per i più moderni filtri, per cui si deve trovare un compromesso, considerato anche che il metano usato comunque ha un costo notevole. Per questi motivi talvolta gli impianti prevedono postcombustori a metano e/o catalizzatori che funzionano a temperature inferiori ai 900 °C.

 Abbattimento degli NOx

Come detto la formazione di ossidi d’azoto aumenta quasi esponenzialmente al crescere della temperatura di combustione. Vanno citate le attrezzature specificatamente previste per l’abbattimento degli ossidi di azoto, per i quali i processi che vengono normalmente utilizzati sono del tipo catalitico o non catalitico.

La prima di queste tecnologie, definita riduzione selettiva catalitica (SCR), consiste nell’installazione di un reattore a valle della linea di depurazione in cui viene iniettata ammoniaca nebulizzata, che, miscelandosi con i fumi e attraversando gli strati dei catalizzatori, trasforma alla temperatura di 300 °C gli ossidi di azoto in acqua e azoto gassoso, gas innocuo che compone circa il 79% dell’atmosfera. Visto che è possibile che una certa quantità di ammoniaca non reagita sfugga dal camino (“ammonia slip”), sono state elaborate altre metodiche che non fanno uso di ammoniaca quale reagente ovvero che prevedono l’uso di un ulteriore catalizzatore per prevenirne la fuga.

La seconda tecnologia, chiamata Riduzione Selettiva Non Catalitica (SNCR), spesso preferita perché più economica, presenta il vantaggio di non dover smaltire i catalizzatori esausti ma ha caratteristiche di efficacia inferiori ai sistemi SCR, e consiste nell’iniezione di un reagente (urea che ad alta temperatura si dissocia in ammoniaca) in una soluzione acquosa in una zona dell’impianto in cui in cui la temperatura è compresa fra 850 °C e 1.050 °C con la conseguente riduzione degli ossidi di azoto in azoto gassoso e acqua. Altri processi non catalitici sfruttano la riduzione con ammoniaca attuata tramite irraggiamento con fascio di elettroni o tramite l’utilizzo di filtri elettrostatici.

Abbattimento dei microinquinanti

Altri sistemi sono stati messi a punto per l’abbattimento dei microinquinanti come metalli pesanti (mercurio, cadmio ecc.) e diossine.

Riguardo ai primi, presenti sia in fase solida che di vapore, la maggior parte di essi viene fatta condensare nel sistema di controllo delle emissioni e si concentra nel cosiddetto “particolato fine” (ceneri volanti). Il loro abbattimento è poi affidato all’efficienza del depolveratore che arriva a garantire una rimozione superiore al 99% delle PM10 prodotte, ma nulla può contro le nanopolveri (PM 0,1). Per tale motivo le polveri emesse sono considerate particolarmente nocive.

Per quanto riguarda l’abbattimento delle diossine e dei furani il controllo dei parametri della combustione e della post-combustione (elevazione della temperatura a oltre 850 °C), sebbene in passato fosse considerato di per sé sufficiente a garantire valori di emissione in accordo alle normative, è oggi considerato insufficiente e quindi accompagnato (nei nuovi impianti) da un ulteriore intervento specifico basato sulle proprietà chimicofisiche dei carboni attivi. Questo ulteriore processo viene effettuato attraverso un meccanismo di chemiadsorbimento, cioè facendo “condensare” i vapori di diossine e furani sulla superficie dei carboni attivi. Questi non sono altro che carbone in polvere, il quale può esibire 600 m² di superficie ogni grammo: detto in altri termini funziona come una specie di “spugna”. Queste proprietà garantiscono abbattimenti dell’emissione di diossine e furani tali da premettere di operare al di sotto dei valori richiesti dalla normativa. Anche qui la filtrazione della polvere di carbone esausta è affidata al depolveratore in quanto evidentemente i carboni esausti (cioè impregnati di diossine) sono altamente nocivi e sono considerati rifiuti speciali pericolosi, da smaltire in discariche speciali.

Sono allo studio metodi di lavaggio dei fumi in soluzione oleosa per la cattura delle diossine che sfruttino la loro spiccata solubilità nei grassi.

Abbattimento delle polveri

La pericolosità delle polveri prodotte da un inceneritore è potenzialmente estremamente elevata. Questo è confermato dai limiti particolarmente severi imposti dalla normativa per i fumi, limitata però alle polveri totali senza discriminare le relative dimensioni delle stesse. Infatti, se da un lato la combustione dei rifiuti produce direttamente enormi quantità di polveri dalla composizione chimica varia, dall’altra alcune sezioni dei sistemi di filtrazione ne aggiungono di ulteriori (in genere calce o carboni attivi) per assorbire metalli pesanti e diossine come sopra spiegato. Pertanto, le polveri finiscono per essere un concentrato di sostanze pericolose per la vita umana ed animale.

Per tali motivi, l’importanza e l’efficacia dei depolveratori è molto elevata. Vengono in genere usati sia filtri elettrostatici (dagli elevati consumi elettrici, poco efficaci su ceneri contenenti poco zolfo ma in generale abbastanza efficaci se frequentemente ripuliti), sia filtri a maniche (non adatti ad alte temperature e soggetti ad intasamento). Attualmente la legge non prevede limiti specifici per le polveri fini (PM10, ecc.) per cui la reale efficacia di tali sistemi su queste particelle è oggetto di dibattiti accesi. Tuttavia il rispetto della legge vigente è, in genere, ampiamente garantito. In ogni caso, le polveri trattenute devono essere smaltite in discariche per rifiuti speciali pericolosi: in taluni casi vengono smaltite all’estero (in Germania le miniere di salgemma vengono usate per questo oltre che per i rifiuti radioattivi).

Gas serra

La valutazione dell’emissione effettiva di gas serra da parte degli inceneritori è questione dibattuta. Se da un lato l’emissione al camino è quantificabile (~1400 kg/t), per una valutazione completa dell’influenza sulle emissioni globali di anidride carbonica bisognerebbe considerare in primo luogo il tipo di rifiuti (organici o no, pretrattati o indifferenziati ecc.), le altre possibili modalità di smaltimento dei rifiuti residui, nonché la produzione di CO2 media usata per calcolare le emissioni evitate, ecc.

Statisticamente per una tonnellata di rifiuto urbano incenerito si deve considerare una produzione di 1402 kg di CO2 (per combustione), un risparmio di 554 kg di CO2 ottenuto col recupero energetico (verrebbero emessi producendo la stessa energia con fonti fossili), altri 910 kg di anidride carbonica assorbita in origine dalla componente rinnovabile, per un bilancio totale negativo di contributo di 62 kg di CO2 sottratti ai gas serra. Questo sempre che vengano realmente bruciate solamente biomasse e non materiali di origine fossile (plastiche ecc.)

Viceversa una discarica produrrebbe per fermentazione della componente organica circa 56 kg/t di metano (gas serra circa 21 volte più potente della CO2, e quindi equivalenti a 1181 kg/t di CO2) oltre a 295 kg/t di CO2; di contro, il carbonio sequestrato in origine dalla componente organica, non trasformato in anidride carbonica durante la fermentazione, equivarrebbe ad un sequestro di 591 kg/t di CO2. Si otterrebbe quindi un bilancio totale positivo di 886 kg di CO2 al contributo dei gas serra.

La produzione di CO2 sarebbe quindi nettamente maggiore per una discarica di rifiuti indifferenziati che per un inceneritore.

Va tuttavia rilevato che le discariche controllate abbinate agli impianti di preselezione (TMB) e/o compostaggio con produzione di biogas permettono il recupero del metano di fermentazione (i sopra citati 1181 kg/t equivalenti di CO2) riducendo drasticamente le emissioni di gas serra della discarica: inserendo questa componente nel confronto, la discarica avrebbe emissioni di CO2 nettamente inferiori ad un inceneritore.

Soppresso il Sistri dal 1° gennaio 2019

Il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) previsto e disciplinato dall’art. 188-ter del D.Lgs. 152/2006, non è più operativo dal 1° Gennaio 2019.

Dalla stessa data sono aboliti i contributi Sistri ed il regime transitorio con ritorno ai soli adempimenti tradizionali (MUD, FIR e registro carico/scarico).

L’organizzazione e la gestione del nuovo sistema verranno effettuate direttamente, mediante internazionalizzazione, dallo stesso Ministero dell’Ambiente in modo tale da determinare, da un lato, risparmi di spesa e, dall’altro, un efficientamento del servizio.

La scelta effettuata è stata ritenuta in linea con l’ordinamento eurocomunitario di riferimento, il quale prevede tre distinte modalità di gestione, ivi compresa quella diretta anche tramite il c.d. “in house providing”.

Comunque ritengo assolutamente necessario garantire la tracciabilità informatica dei rifiuti (Sistri) con apposito verbale, redatto da personale dello Stato, presso lo stabilimento deputato allo smaltimento.


3/3 – Fine