Lo sviluppo di una cultura di partecipazione
Sono sicuro di poter interpretare anche il pensiero del compianto on.le Zamberletti nell’affermare che la presente relazione rappresenta il segno più importante di un salto culturale in tema di Protezione Civile che noi abbiamo invano predicato nel deserto dopo la catastrofe del terremoto del 6 maggio 1976 nel Friuli.
In Italia la Protezione Civile diventerà qualcosa di reale nell’organizzazione della vita civile del Paese se la popolazione, la gente, sarà in grado di capire l’estrema importanza di questo salto di qualità senza il quale gli strumenti, le norme, le architetture tecniche sono bellissime cose, ma diventano fatalmente inefficienti.
Dopo il terremoto in Campania ricordo che un giapponese (uno di quelli che si interessano di tutto) mi fece questa osservazione: “Siamo stati in Friuli e abbiamo visto tanti campani che aiutavano i friulani e adesso vediamo i friulani che aiutano i campani”. Voleva con questo dire che la comunità locale aspetta solo l’arrivo dei “nostri” mentre non riesce a diventare un valido caposaldo del sistema di Protezione Civile. Credo che la regola di fondo è quella di concepire la Protezione Civile come difesa totale e quindi di fare di ogni Comune, attraverso la grande mobilitazione e partecipazione dei cittadini, un caposaldo capace di esprimere una parte della risposta. Il caposaldo bene organizzato consente di dare la prima risposta per ottimizzare l’impiego di forze che via via diventano più numerose, ma che all’inizio sono estremamente sproporzionate rispetto alla domanda. Il Comune caposaldo di Protezione Civile è, inoltre, lo strumento per attivare una valida pratica della prevenzione. Quando diciamo che il Sindaco è l’autorità di Protezione Civile e gli facciamo carico anche della responsabilità della prevenzione, dobbiamo fornirgli uno strumento che attivi lo sviluppo di una cultura della Protezione Civile, quindi di partecipazione, altrimenti ne faremo solo un capro espiatorio. Se, inoltre, non perdiamo di vista il concetto che un sistema di Protezione Civile, soprattutto nell’emergenza, è un fatto di sintesi, ne consegue che occorre una continua verifica del funzionamento delle singole componenti allo scopo di mantenerne costante la potenzialità.
La fase dell’emergenza e la fase della ripresa
Diversamente nel momento in cui tutto l’apparato pubblico è chiamato a fornire prestazioni straordinarie si rischia di trovarsi a gestire soltanto una sommatoria di inefficienze; ed ancora, se è vero che in ogni funzione complessa la velocità dell’insieme è condizionata dalla velocità della componente più lenta, sarà più importante ottenere uno standard di efficienza media ma comune a tutte le componenti anziché punte di altissimo livello di alcune a fronte di scarsi rendimenti di altre.
La fase dell’emergenza, sia essa ordinaria che straordinaria, cessa allorché, dopo che sono state svolte tutte le operazioni dirette al soccorso ed al salvataggio delle vite umane, vengono assicurati il primo ricovero e l’assistenza ai superstiti, ripristinati i servizi pubblici essenziali e promossi gli incentivi minimi indispensabili per avviare la ripresa della vita economica e sociale sul territorio.
Si arriva così all’ultima fase che, per comodità di esposizione, definisco “della ripresa”, ovvero quella della ricostruzione dopo i disastri.
Essa comprende il reinsediamento delle popolazioni in alloggi meno precari e la creazione di ulteriori condizioni che consentono la ricostruzione del tessuto socio-economico quale condizione essenziale per una successiva fase di ricostruzione che senza alcun dubbio non rientra nell’attività di Protezione Civile.
Tra la fase dell’emergenza e quella della ripresa non esiste un confine netto ma le due fasi sono intimamente connesse in quanto la seconda trova nella prima i presupposti ed è in continua evoluzione per potersi esaurire, come è indispensabile, in tempi ristretti.
In questa fase la presenza dello Stato non può e non deve essere così assorbente come è nella fase dell’emergenza.
La ricostruzione
Per assicurare la più sollecita riassunzione da parte degli Enti locali e delle Pubbliche amministrazioni delle competenze proprie, in relazione alla riacquista capacità di svolgerle, lo Stato si deve limitare a delegare i necessari poteri che consentano lo svolgimento delle connesse attività, autorizzando nel contempo procedure estremamente semplificate e concedendo i necessari finanziamenti.
Questi criteri consentono di parzializzare, per singoli settori, la conclusione dell’attività di ripresa con il benefico effetto di disimpegnare lo Stato in tempi brevi e conseguentemente di far riacquistare la pienezza della propria autonomia alle collettività locali.
Ma questa, che è soltanto l’indicazione teorica dello svolgimento di sequenze operative, non sembra trovare conferma nella realtà: c’è una tendenza, che va corretta, a prolungare la presenza del sistema di Protezione Civile nelle zone colpite da calamità con la conferma oltre limiti ragionevoli di poteri eccezionali e la conseguente compromissione delle autonomie.
Manca, infatti, una soddisfacente saldatura tra il momento della ripresa e la ricostruzione vera e propria. Quest’ultima fase consiste principalmente nella sistemazione della popolazione, nel ripristino dei servizi (prima di tutto quelli sanitari) dei centri sociali e commerciali, delle infrastrutture, delle scuole, delle attività produttive ed industriali. In pratica, la popolazione deve essere in grado di riprendere a operare sul territorio, in attesa che si avvii la ricostruzione.
Nel momento in cui scatta la macchina dei soccorsi, l’obiettivo principale di tutti gli interventi è salvare il maggior numero di vite umane, recuperare nel più breve tempo possibile i corpi delle vittime, sgombrare le macerie, e contemporaneamente ricoverare la popolazione rimasta senza tetto e provvedere alla distribuzione di viveri, di indumenti e di generi di prima necessità, mediante un sistema disciplinato del loro afflusso e della relativa raccolta in appositi centri.
Per cui è importante il ripristino della viabilità e dei servizi pubblici (telefoni, energia elettrica, acquedotti), che deve essere affrontato con impegno, fin dalle prime ore, non solo per rendere più rapidi i soccorsi, ma anche per consentire alla popolazione colpita la ripresa della vita in condizioni accettabili.
Non va infatti dimenticato che le conseguenze di un evento calamitoso non sono valutabili solo in termini di danni alle persone ed alle cose, ma di difficoltà di ripresa nel sistema urbano, produttivo, infrastrutturale, che può rimanere a lungo in crisi per la caduta di funzionalità di un solo settore, come la viabilità, l’approvvigionamento idrico ed elettrico, il servizio igienico-sanitario ecc.
La fase del ripristino e del riavviamento socio-economico sarà iniziata dagli organi della Protezione Civile, per poi essere completata dalle amministrazioni ordinarie, che salderanno questa fase con quella della ricostruzione e del reinsediamento definitivo della popolazione.
A tale scopo è importante la predisposizione delle aree da occupare con gli insediamenti provvisori e la loro attrezzatura preventiva con i servizi.
Una volta fissata l’area degli insediamenti, la collocazione degli alloggi provvisori avverrà secondo parametri diversi, anche in funzione delle caratteristiche dell’area stessa (pianeggiante o no, libera, parzialmente occupata, ecc.). Tale scelta dovrà tener conto della rete stradale esistente, dell’esposizione, ma soprattutto della stabilità dell’area, che non deve essere soggetta a movimenti franosi o allagamenti.
Le aree in questione verranno selezionate considerando che vengono utilizzate per la collocazione di tende, roulotte, containers e prefabbricati, e particolarmente in funzione delle caratteristiche di urbanizzazione e di vicinanza delle zone abitate, prima dell’evento calamitoso.
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